La morte di Tiziana Cantone sta portando alla luce in tutta la sua tragicità una forma di violenza che fino ad ora è stato comodo attribuire ad uso illecito e spregiudicato dei nuovi mezzi di comunicazione e in particolare dei social network. Questa però ha un nome ben preciso: slut–shaming. L’espressione fu coniata dalle femministe in tempi non sospetti, quando ancora non esisteva la gogna mediatica ma erano comunque forti il pettegolezzo e i pregiudizi che oggi affollano il web. In fondo le donne sono sempre state sotto processo se osavano trasgredire in maniera evidente i codici di condotta sessuale che la società e la morale impongono. Perché è di questo che si tratta: Tiziana è stata giudicata per le sue libere scelte e si è tolta la vita perché non esiste una giustizia che riesca ad evitare che video e foto privati diventino virali o che sia possibile cancellarne le tracce. Come per la violenza sessuale il NO della donna non è preso in considerazione per quello che è ma da chi abusa viene sempre offerta un’interpretazione diversa che serve da base per colpevolizzare la donne e assolvere i violentatori.
Tiziana non voleva che il suo video venisse diffuso ma non è stata ascoltata e il suo NO non è stato preso in considerazione. Può essere colpevole di questo il web? I colpevoli sono da altre parti, ben visibili nella società nella quale Tiziana, con il suo gesto estremo ci ha riportati. Una mattina ci siamo svegliati e ci siamo accorti di vivere in una società maschilista, sessista e sessuofobica, nella quale è bene che il sesso vada nascosto, meglio se tra le mura della propria casa e se in rapporti monogami ed eterosessuali.
Questa è la stessa società che mentre invoca misure drastiche e liberticide per chi usa illecitamente i social network per evitare che ci siano altri casi come quello di Tiziana, non dice una parola in difesa della giovane abusata a Melito di Porto Salvo e mette alla gogna la ragazza stuprata e filmata dalle “amiche” perché se la sarebbero cercata e non sono state attente e accorte.
Noi pensiamo che non servano leggi liberticide fatte in nostro nome, pensiamo che per rendere giustizia a queste tre donne e a tutte le altre che ogni giorno subiscono violenze, offese e oltraggi sia necessario costruire lottare contro la cultura patriarcale di cui la nostra società è imbevuta.
Nell’esprimere la nostra vicinanza alla famiglia di Tiziana e a tutte le donne che subiscono violenza, ribadiamo il nostro impegno per una forte partecipazione alla manifestazione del 26 novembre contro la violenza sulle donne. Per ottenere giustizia è necessario tornare ad essere protagoniste, ricominciare a riprendersi le strade e le piazze per ribadire che non sono le gonne troppo corte, non sono i raptus e la gelosia, non è l’amore, non sono le nostre scelte sessuali ad ucciderci ma sono maschi violenti.
Sinistra Anticapitalista per la libertà delle donne
Contro la cultura del controllo e del possesso delle donne e dei loro corpi
SINISTRA ANTICAPITALISTA
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