Forse uno dei più grandi film comici di tutti i tempi, “Frankenstein Junior” per intenderci, già citava benevolmente un assunto che va ripreso oggi, qui ed ora: “Si può fare!“. E’ il titolo di un libro di Barack Obama che, a dire il vero, non è per niente la nostra “bibbia politica”.
Ma, diceva Seneca, “...le grandi idee appartengono un po’ a tutti“, perché diventano patrimonio comune. E così per forza di cose accade anche alle grandi battute del mondo del cinema. E “Si può fare!” pronunciato dal dottor Frankenstein è, se visto e rivisto fuori da questo contesto meramente letterale, una grande battuta di spirito, divertente e, al tempo stesso, un messaggio di speranza.
Dalla materia morta, inerte, apparentemente irreversibile, non riportabile più allo stato della vita che aveva, arrivare proprio a ciò: al suo contrario. Dalla morte alla vita.
La sinistra in Italia è, se non proprio deceduta e defunta, almeno sicuramente finita in uno stato di profondo coma che pareva (e tutt’ora qualche dubbio rimane) irreversibile. I danni maggiori che hanno causato questa irreversibilità e che l’hanno privata di un contatto sociale che prima aveva e che era il suo vero patrimonio culturale, in quanto trasposizione culturale nella vita di tutti i giorni con proposte, atti e concretezze che ne facevano veramente una “forza”, sono stati fatti da tante trasformazioni riformiste e tentativi di adeguamento delle idee alla cosiddetta “cruda realtà dei fatti”.
Alla base di tutto questo disfacimento e consunzione della sinistra anticapitalista e di alternativa ci sarebbe dunque un eccesso di pragmatismo come alibi legato ad un eccesso di protagonismo come forma egocentrica di rampantismo: voler contare nei salotti buoni del potere per poter accedere al potere stesso ma non per trasformare radicalmente la società in cui viviamo e ci consumiamo tutte e tutti (le sfruttate e gli sfruttati) ma per gestirla.
Gestire una società dominata dal mercato e dal capitalismo vuol dire aver perso in partenza la battaglia per il comunismo: quindi per una alternativa di società che, come avrebbe ben detto Franco Fortini, avrebbe dovuto mettere al posto del NO il nuovo SI’ dei rivoluzionari.
Ma i rivoluzionari sono una categoria del passato… Me lo sono sentito dire tantissime volte. E così, forse, un poco anche noi comunisti abbiamo finito col pensarci sempre meno rivoluzionari e abbiamo accettato una visione delle cose, delle persone e dei fatti nel loro complesso veramente “riformista” nel senso più deleterio del termine.
Abbiamo pensato soltanto a ridurre i danni, a contenere le pulsioni iperliberiste del mercato e ci siamo detti che ciò che contava solamente era entrare in Parlamento perché solo attraverso quel piano parlamentare saremmo potuti tornare ad essere diffusi nella società, capillarmente presenti nei luoghi di lavoro, nei centri della più grande produzione, nelle reti dei circoli sociali e culturali. Insomma, nella complessità moderna di un mondo che invece si stava allontanando da noi proprio perché noi ci siamo pensati ed abbiamo agito per molti anni soltanto in funzione del ruolo parlamentare che volevamo avere e che ci era stato sottratto nell’ormai lontano 2008.
Dieci anni dopo, avendo attraversato un deserto di sconfitte elettorali (esclusa la parentesi della lista europea de “L’Altra Europa con Tsipras”, un successo tra virgolette e comunque non così duraturo…), ci siamo chiesti se non fosse il caso di spendere anche qualche energia residuale nel riprovare a rimettere in gioco quel “partito sociale” che come Rifondazione Comunista avevamo pensato per tempo e sul quale avevamo dato molta attività provando a contrastare la pelosità del mutualismo fascista, ad esempio, dimostrando che la sinistra comunista non voleva dimenticarsi dei bisogni reali del moderno proletario mondo degli sfruttati.
Abbiamo, dunque, riposto al centro della questione delle questioni quel “socialismo” vero e proprio fatto di ricostruzione delle dinamiche politiche non semplicemente legate alla funzione parlamentare e di rappresentanza istituzionale, ma ci siamo letteralmente ripensati come sinistra che ripartiva a prescindere dall’essere o dal non essere in Parlamento.
Non siamo diventati extraparlamentari, ed infatti partecipiamo alle elezioni politiche con uno slancio semmai maggiore rispetto alle ultime esperienze di tal fatta: è un sentimento un po’ diffuso, quindi comune, quello che ha fatto percepire un poco a tutti un ricongiungimento di molte persone, cittadini, compagne e compagni che s’erano diasporizzati in questi lustri, attorno al progetto politico di Potere al Popolo!.
Un progetto giovane in tutti i sensi: nasce dai giovani e ha radunato sotto le sue bandiere uno slancio emotivo e una passione che erano andate in quel comatoso letargo di cui facevo cenno prima. E’ questo il lento risveglio dal coma profondo della sinistra di alternativa che vogliamo realizzare.
A partire dal voto del 4 marzo. Perché Potere al Popolo!, che a chi come me è ultraquarantenne suonava un po’ Sessantottino o Settantasettino, ha generato curiosità in una larga fetta di giovani generazioni che non hanno probabilmente mai votato o l’hanno fatto pensando che i grillini fossero la nuova sinistra rivoluzionaria o, peggio ancora, che lo fosse il PD o il vecchio caravanserraglio del centrodestra berlusconiano.
Ecco, noi siamo usciti da questo letargo e dal deserto traversato. Qualunque cosa accada dopo le 23.00 del 4 marzo, i nuovi comunisti e le nuove comuniste che entrano in questa esperienza uscendo proprio da una intensa campagna elettorale vogliono proseguire il lavoro di radicamento sociale prescindendo dalla funzione parlamentare ma considerandola necessaria per mettere in pratica quei valori costituzionali che sono il programma di Potere al Popolo!.
Dunque, andiamo avanti ancora in queste ore nel parlare, nel convincere chi è indeciso e chi magari ancora non sa che ci sono le elezioni. Non stupiamoci del livello alto di mancata ricezione delle informazioni. Nell’era veloce di Internet e di una tv omologante, può sfuggire paradossalmente l’evento più importante e arrivare nelle menti quello più trascurabile. Per indolenza, per voluta ignoranza. E allora c’è poco da fare in questi casi.
Altrimenti c’è da ridare speranza ai bisogni frustrati di milioni di lavoratori e di disoccupati, di precari e di nuovi schiavi di una economia che viene magnificata come l’eccellenza del mondo e che, invece, ne è la morte da secoli.
Siamo, dunque, giovani e vecchi, nuovi e antichi allo stesso tempo e dal passato che ci appartiene riprendiamo ancora una volta un incitamento: “Al lavoro e alla lotta!”.
Buon voto, buon Potere al Popolo!
MARCO SFERINI
3 marzo 2018
foto tratta dalla pagina Facebook di Potere al Popolo!