La morte impone rispetto, e non si discute. E l’impatto di Berlusconi sulla storia d’Italia nemmeno si discute. Ma ha diviso il paese da vivo, e continuerà a farlo da morto. Già ora, una parte del popolo italiano non condivide i sette giorni di lutto parlamentare e la giornata di lutto nazionale. Perché pensa che Berlusconi sia causa non ultima dell’indebolimento istituzionale e politico del paese.

Berlusconi decide di scendere in campo nel 1993. Non prima, e nessun altro prima di lui, perché partiti fortemente strutturati e radicati nel territorio avevano fino ad allora imposto un cursus honorum che preveniva l’incursione ai piani alti della politica del tycoon di passaggio. Il collasso dei partiti in quei due terribili anni – 1992 e 1993 – e il vuoto che ne derivava erano condizioni necessarie per Berlusconi.

Nella seconda parte del 1993 viene ad arte creata nel paese l’attesa sul tema «scende, non scende». Arriva infine alle tv il 26 gennaio 1994 la videocassetta «L’Italia è il paese che amo». I professionisti della politica non capirono il cambio di passo nella comunicazione. Come non capirono che il partito “di plastica” che Berlusconi stava creando era un pericolo reale.

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Berlusconi aveva fatto il miracolo politico di tenere insieme Forza Italia, Alleanza Nazionale erede del Msi e la Lega Nord. La vittoria del centrodestra nel 1994 dissolve l’”arco costituzionale” dei partiti che avevano dato vita alla Carta del 1948, e ne fornivano un supporto essenziale. Ha inizio allora un indebolimento strutturale della Costituzione mai in seguito recuperato.

Ne è parte la lettura berlusconiana del voto. Il 16 maggio 1994, nel discorso sulla fiducia, Berlusconi afferma che l’alleanza elettorale «si trasforma in coalizione di Governo su esplicito mandato dei cittadini… Credo che questa maggioranza e questa legislatura debbano coincidere e che per costituire una nuova maggioranza siano politicamente necessarie nuove elezioni».

È la rottura con la forma di governo parlamentare. Capo dello Stato e parlamento sono chiamati ad atti sostanzialmente dovuti, persino sottilmente eversivi, se non conformi al voto popolare. Alla caduta del suo governo, Berlusconi manda il 19 dicembre 1994 alle tv una videocassetta in cui chiama i suoi sostenitori a manifestare per lui, unico e legittimo presidente del consiglio. Un incitamento che per fortuna il paese non raccoglie.

Ma il refrain del tradimento degli elettori rimane. Lo ribadisce La Loggia il 1° febbraio 1995 in Senato, affermando che il voto del 27 marzo 1994 riduce «sin quasi a zero» i poteri del presidente della Repubblica, prima «pressoché assoluti». Entrano nell’Eden della politica il comandamento della scelta nel voto di chi governa, e il peccato originale del ribaltone.

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Non meraviglia la posizione della destra. Ma meravigliano gli accenti analoghi da Prodi nel 1996, da D’Alema nel 1998, da Amato nel 2000, ancora da Prodi nel 2006 e nel 2008, nel momento della sconfitta. Ed è così che Il 13 maggio 2008 nella Camera dei deputati Berlusconi vittorioso celebra gli elettori che hanno accolto, scegliendo con nettezza maggioranza e opposizione, «il nostro comune (del Pdl e del Pd, nda) appello a rendere più chiaro, più efficiente e controllabile il governo del Paese… è stata la prima grande riforma…».

E Veltroni, disastrosamente sconfitto, rivendica al neonato Partito Democratico in corsa quasi solitaria il merito di aver introdotto discontinuità rispetto «… alla esasperata frammentazione politica e… costante demonizzazione dell’avversario…». Per primo il Pd ha avuto «… il coraggio di compiere scelte difficili e innovative». Poco conta che l’effetto collaterale sia consegnare il Parlamento nelle mani della destra.

Un epitaffio. Al cedimento politico e culturale di una sinistra che nei decenni di Berlusconi non ha saputo o voluto difendere i suoi storici presidi di cultura istituzionale e politica, come la rappresentanza, il ruolo delle assemblee elettive e dei corpi intermedi, la centralità del principio di eguaglianza, dei diritti, della coesione sociale.

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È il popolo italiano, respingendo nel referendum la riforma costituzionale del centrodestra nel 2006, e quella di Renzi nel 2016, che nega al Berlusconi-pensiero una conclusiva vittoria. Non sappiamo se potrà accadere di nuovo. Quel che sappiamo è che nell’inseguire Berlusconi senza la forza di proporre una vera alternativa la sinistra ha smarrito la sua anima. E il paese ha smarrito la sinistra.

MASSIMO VILLONE

da il manifesto.it

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