Nel 2018 erano 110 mila i lavoratori e le lavoratrici vulnerabili e gravemente sfruttati dalle agromafie. Oggi, invece, secondo la Flai Cgil, in piena pandemia e subito dopo il provvedimento di emersione dal lavoro nero voluto dal governo giallo-rosso, si è raggiunta la cifra record delle 180 mila persone. Un dato denunciato nel corso della presentazione del V rapporto Agromafie e caporalato della Flai Cgil, curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto, dinnanzi ad una platea ospitata all’interno del teatro Ambra Jovinelli di Roma.
Uomini e donne che dal Nord al Sud sono vittime di caporali, padroni, mafiosi e sfruttatori. Obbligati a vivere condizioni di emarginazione, come le migliaia di persone che vivono ancora nei ghetti, sono la manifestazione di un sistema agromafioso che da anni la Flai Cgil indaga e denuncia apertamente. «Il settore primario rappresenta ancora oggi – si legge nell’introduzione del segretario generale della Flai Cgil, Giovanni Mininni – non solo un settore d’investimento, ma anche la possibilità di mantenere il controllo del territorio attraverso la sua economia. È questo uno dei motivi per cui i fenomeni di sfruttamento, lavoro sommerso e caporalato non sono più appannaggio esclusivo di quelle regione del Mezzogiorno per così dire vocate a queste pratiche illegali di economia e di lavoro, ma anzi li ritroviamo anche in alcune aziende della ricca agricoltura del Franciacorta o del veronese».
Una tesi comprovata dalle molte operazioni delle Forze dell’ordine condotte nel Centro-Nord per debellare interessi agromafiosi consolidati. Sotto questo aspetto, il dossier, analizzando i 260 procedimenti penali riguardanti tutti i settori lavorativi, ha rilevanto che ben 143 di essi non riguardo le regioni del Sud. Il Veneto e la Lombardia, infatti, con le Procure di Mantova e Brescia, presentano il maggior numero di procedimenti penali. Un esempio è rappresentato dalla nota società Straberry di Milano, start up da 7,5 milioni di euro, che, secondo la Guardia di Finanza, impiegava i lavoratori immigrati per oltre 9 ore al giorno per 4,50 euro l’ora di retribuzione. È questa l’espressione di un sistema di produzione programmato sullo sfruttamento e fondato sulla ricattabilità e precarietà di migliaia di persone. La loro condizione di soggetti subordinabili ed emarginati, nutre le agromafie e ogni forma di sfruttamento. Ed infatti, continua Mininni, «la modalità mafiosa si è intrecciata con quella parte di imprenditoria desiderosa di guadagni facili, che sceglie di competere sul mercato attraverso il dumping contrattuale e la concorrenza sleale, scaricando sui lavoratori il contenimento dei costi e l’aumento dei margini di profitto».
Tra le Procure più attive sono state registrate anche quelle dell’Emilia-Romagna e del Lazio, con Latina al primo posto, nonché della Toscana con la provincia di Prato. Proprio a Latina, il 28 settembre scorso, è stato organizzato dalla Cgil, con Cisl e Uil, uno sciopero unitario coi lavoratori immigrati della provincia, contro il caporalato, lo sfruttamento, i gravi incidenti sul lavoro spesso nascosti da alcuni imprenditori agricoli per evitare problemi di natura sindacale e giudiziaria. Bilongo, responsabile dell’Osservatorio Placido Rizzotto, con la sua relazione, ha ricordato l’operazione Demetra dell’estate scorsa, condotta tra la Basilicata e la Calabria e che ha visto il coinvolgimento di 14 aziende e di circa 60 persone. I padroni italiani, in questo caso, chiamavano «scimmie» i lavoratori immigrati e davano loro da bere l’acqua del canale con la quale irrigavano i campi. Resta aperto il tema dei controlli.
Sospesi durante il Covid, risultano sostanzialmente inadeguati a fronteggiare nel merito questo fenomeno criminale pervasivo del capitalismo contemporaneo. Secondo la Flai, infatti, «servono maggiori controlli, i quali risultano diminuiti del 33%». Mininni stesso ricorda che «c’è bisogno di strappare dalle mani dei caporali il trasporto e il controllo dei lavoratori e sanzionare le imprese che si servono dei caporali». Un’osservazione fatta davanti alla Ministra Bellanova, alla quale aggiungere il ritorno ad un collocamento pubblico efficace e trasparente perché venga svuotato il potere del caporale di soddisfare rapidamente la domanda giornaliera di manodopera dell’imprenditore.
Ed infine la vigenza della legge Bossi-Fini. Anche su questo la posizione è chiara: «La Bossi-Fini va cancellata quanto prima se si vuole ridare dignità e legalità al mondo del lavoro e a migliaia di immigrati presenti nel Paese». Dello stesso avviso anche il viceministro dell’Interno Mauri, intervenuto alla presentazione: «La Bossi-Fini – dichiara Mauri – è una legge sbagliata e vecchia. Intanto convertiamo i decreti che modificano quelli di Salvini, poi ci sarà la necessità di intervenire, anche sulla cittadinanza».
MARCO OMIZZOLO
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