Mentre a Roma si litiga per la targa intestata alla grande figura di Yasser Arafat, in Libano oltre 500 mila profughi palestinesi, nei loro poveri campi, ospitano i rifugiati di altre guerre e di altre occupazioni militari.
È il paradigma tragico, diremmo grottesco, di un popolo dimenticato, che si ostina, tuttavia, contro forze enormi, a vivere e a rivendicare la propria appartenenza nazionale. Inascoltati, dimenticati, sempre scacciati: anche dalla toponomastica. Il vice sindaco di Roma Luca Bergamo, che ha avuto la delega dalla sindaca Raggi a gestire la spinosa (pazzesco!) faccenda della targa, riferisce che l’attuazione delle delibera (la n. 165 del 28 luglio, prevede che sia intitolato un parco ad Yasser Arafat, nella zona di Centocelle, e una piazza al Rabbino Capo Emerito Elio Toaff a Colle Oppio) è ferma e rimandata a data da destinarsi. Non si farà.
Nonostante la richiesta di una ventina di associazioni e l’opportunità di aprire un dibattito pubblico destinato, invece, a morire qui. Troppe le pressioni della comunità ebraica per impedirlo, troppo forti per essere respinte dalla giunta Raggi. Piccole meschinità accanto a una grande tragedia dall’altra. Per capire la questione palestinese è molto importante andare in Libano e conoscere la realtà di quel pezzo di umanità scacciata dalle proprie case nel 1947 e poi venti anni dopo.
Uomini e donne che non sono tornati indietro e che non possono guardare il futuro perché non hanno patria, cittadini di serie b in un paese ospitante. Il Comitato Per non dimenticare Sabra e Chatila, da quando è stato fondato nel 2001 da Stefano Chiarini e grazie all’impegno de il manifesto e del giornale indipendente libanese As Safyr, fa proprio questo: si reca lì ogni anno, in occasione dell’anniversario del massacro di Sabra e Chatila, due poverissimi campi profughi alla periferie di Beirut, dove i macellai falangisti sotto la regia dell’occupante israeliano e le direttive del falco Ariel Sharon fecero scempio dei corpi di duemila persone.
Un orrore che si consumò dal 16 al 18 settembre del 1982 e che svegliò l’umanità dormiente: i palestinesi ancora massacrati! Anche la sinistra italiana, affascinata dal mito dei kibbutz e dalle esperienze ‘socialisteggianti’ del neo-stato di Israele, dovette guardare in faccia la realtà dell’occupazione militare e dei suoi crimini.
Quel massacro, più di tanti altri, fu odioso, realizzato con lo stratagemma di lasciar partire il contingente internazionale e di aver imposto l’esilio dei fedayin, i giovani combattenti guidata da Arafat, verso la Tunisia. Fu fatto per dare una lezione ai palestinesi: non esistete e noi vi schiacceremo. Ma i palestinesi da allora hanno continuano a lottare: tanti gli errori, tragiche le loro divisioni ma di certo hanno avuto la straordinaria forza di rivendicare la loro volontà di essere un popolo e di non permettere all’ occupante di annientarli.
Si conosce da vicino tutto questo andando in Libano, visitando i campi, parlando con le forze politiche sociali, ricordando che il Diritto al ritorno è sancito dalla Legge internazionale. Anche quest’anno in molti hanno scelto di andare insieme al Comitato Per Non dimenticare Sabra e Shatila dal 16 al 23 settembre. Dobbiamo tutto questo all’impegno e alla intelligenza di Stefano Chiarini e di Maurizio Musolino. Dicono i poeti che non si muore finché altri ti portano nel cuore: entrambi scomparsi prematuramente, sono nel nostro cuore e vivono tra noi con la loro passione per il Medio Oriente e la solidarietà, l’amore, verso il popolo palestinese.
STEFANIA LIMITI
foto tratta da Wikimedia Commons