Chissà se l’11 febbraio 2022 rimarrà nella Storia, quella con la esse maiuscola… Se dovesse accadere, sarà ricordato con tutta probabilità come il giorno in cui, per la prima volta dopo due anni, potemmo iniziare a toglierci le mascherine all’aperto. A chi vivrà tra cinquanta, cento anni, farà l’effetto, non più né meno, di una conseguenza del rallentamento di una pandemia, di un evento epocale su cui si concentrerà l’attenzione tanto degli storici quanto dei sociologi.
Eppure, per noi che oggi affrontiamo questa giornata, l’11 febbraio potrebbe marcare davvero una linea di confine e, si spera, un punto di non ritorno alle rigide regole anticontagio che, nonostante il tradizionale racconto dell’italiano molto poco ligio a normative e comportamenti conseguenti, sono state seguite con scrupolo dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Nel futuro non se lo domanderanno, mentre noi oggi lo facciamo: che effetto ci fa, vicendevolmente, ritrovarci a guardarci in faccia, a non dover intuire solo dal movimento degli occhi quali sentimenti si esprimono con il linguaggio, e quello che veramente si vorrebbe comunicare? Fa un effetto piacevole, ma serve qualche giorno di riadattamento a quello che è sempre stato un modo di relazionarsi più che normale, del tutto naturale.
La nostra umana caratteristica di esseri abitudinari, sostenuta da un istinto di sopravvivenza emerso con prepotenza nei primi mesi della pandemia, ci aiuterà a dimenticare presto come si stava con le mascherine all’aperto. Il rischio è di subire, anche in questo caso, un contraccolpo psicologico, una tendenza a sentirsi meno protetti, alla mercé del virus, autogenerando un senso di angoscia che rischia di essere l’ultimo di una serie di problemi che hanno largamente modificato i comportamenti sociali e individuali di ciascuno di noi.
La pandemia è stata vissuta da tutti con tratti, se non proprio identici, almeno similari in molte circostanze, quelle che ci hanno, bene o male, messo in relazione anche nei momenti più difficili. Momenti in cui incontrarsi era praticamente impossibile se non facendolo da lontano, magari avendo la fortuna di vivere con un cane e poterlo portare fuori tre volte al giorno insieme all’autocertificazione da esibire alle forze dell’ordine nelle deserte vie delle città d’Italia.
La chiusura totale dei mesi di marzo, aprile e in parte maggio del 2020, oggi sembra già così lontana… Probabilmente perché la densità di cambiamenti che sono intercorsi da allora è tale da aver dilatato il tempo, rendendolo esteso oltre ogni logica possibile, oltre ogni razionale linea cronologica.
Ecco perché togliersi le mascherine all’aperto, poterlo fare non di sfuggita o di soppiatto, ma seguendo le linee dettate dal Ministero della Salute, è un importantissimo segnale: perché è una novità assoluta nella storia del biennio pandemico. L’allentamento delle misure restrittive non aveva mai contemplato il via libera in questo senso. Avevamo potuto riavvicinarci un poco, uscire più volte e tornare a frequentare piscine e palestre, andare anche al cinema, nei teatri e nei musei, persino fare feste all’aperto. Ma sempre e soltanto con la mascherina ben calcata sul viso.
Abbiamo imparato a salutarci facendo toccare i nostri gomiti o mettendoci una mano sul cuore, tra il sacro e il profano, e tutto questo è stato possibile accettarlo nel nome di un principio comune di sopravvivenza in particolare dei più fragili e dei più deboli cui tutte e tutti dovevamo il massimo rispetto e la massima cautela proprio nel rapporto quotidiano con l’incognita del Covid-19. Non ci era e non ci è tutt’ora permesso comportarci con leggerezza, sottovalutando l’imprevedibilità del coronavirus.
Per questo tutte le manifestazioni dei no-mask prima, dei no-vax e no-pass dopo, nonostante rientrassero nella piena legittimità di un dissenso costituzionalmente garantito, hanno prima di tutto contravvenuto ad una regola morale, ad un principio di civismo e anche di civiltà: alcuni milioni di italiani hanno scelto di non vaccinarsi perché hanno avuto paura, perché hanno temuto reazioni imprevedibili del loro organismo ai preparati medici elaborati dalle grandi multinazionali del farmaco.
Hanno gridato alla “dittatura sanitaria” ben prima che arrivasse il Green pass: c’era chi negava l’esistenza stessa del Covid e sfidava i divieti facendosi sostenere da una supponente arroganza alimentata a dismisura dalla furia internettiana della condivisione di notizia palesemente false (ma forse non per tutti…). E c’era chi, oltre a negare che il coronavirus fosse tra noi, costruiva su tutto questo un piccolo tesoretto politico, alimentando tensioni sociali, sviluppando stati letteralmente nevrotici e fobici che ben poco avevano a che fare con il pericolo rappresentato dal patogeno dilagante.
La storia della pandemia sarà raccontata con toni, accenti e colori molto diversi fra loro, ma certe reazioni di massa, quasi globali, all’impatto con il Covid-19 non potranno non essere al centro di una analisi sociologica che riguardi anche il nostro tipo di rapporto con la cultura, la razionalità, il confronto con il dolore, la paura, il terrore del contagio e quello, ovviamente, della morte. La reazione smodata, inconsulta e priva di qualunque contezza che milioni e milioni di individui hanno avuto è stata affidarsi non alle certezze in divenire della scienza ma ad una schermatura difensiva che poggiava sul negazionismo, sull’evitamento di un evento che sapevamo essere più grande delle nostre possibilità.
Abbiamo provato in diversi modi, con approcci del tutto diversi da persona a persona, a mantenere il controllo su noi stessi e abbiamo provato a farlo anche al di fuori di noi. Non c’era nessuna vergogna nel dire di avere paura: eppure molti di noi questa vergogna l’hanno provata e l’hanno nascosta sfidando la realtà come se non fosse reale, facendone un surrogato di sé stessa, negandola spudoratamente per poter sopravvivere, per poter esorcizzare timori che si sommavano ai già tanti disagi quotidiani pre-pandemici.
L’insopportabilità è stata tanta e dobbiamo parlarne tra noi, nei giorni che verranno. Abbandonando le contrapposizioni e ritornando a dialogare, a confrontarci, a scambiarci tutta una sequela di emozioni represse per evitare che prendessero il sopravvento e ci dominassero del tutto.
La pandemia non è finita: i vaccini ci hanno aiutato a modificarne il cammino a zig zag, considerandola endemica, una presenza non eliminabile dall’oggi al domani, né con i rimedi della scienza e, tanto meno, con le parole magiche dei negazionisti del Covid o dei presupponenti teorici della composizione fantastica dei vaccini che conterrebbero dal grafene ai microchip, da tecnologie 5G per i telefonini di ultima generazione a tentativi di controllo del “nuovo ordine mondiale” per diminuire la popolazione, per surriscaldarne i corpi e annichilirli come la lava del Vesuvio fece a Pompei.
Se vogliamo capire perché milioni di persone hanno risposto alla paura con l’irrazionalità, fino al punto da spingersi a credere nell’incredibile, sfuggendo a qualunque spiegazione ragionata sui veri motivi per cui la pandemia ha rappresentato una occasione di riorganizzazione del capitalismo mondiale e del liberismo dominante, piuttosto che essere un disegno del “deep state” immaginato dai sovranisti della follilandia qanosista, ebbene dobbiamo indagare meglio il rapporto tra essere umano e natura, tra noi e il resto del pianeta: iniziando dal dominio totalizzante che esercitiamo su un villaggio globale che include tutta una serie di variabili che non sono antropomorfizzabili.
Se oggi possiamo toglierci le mascherine e respirare un po’ meglio, guardarci oltre che negli occhi in ogni parte del viso, lo dobbiamo alla scienza che, pur dovendo mettersi al servizio del sistema delle merci e del profitto (cui nessuno e niente sfugge), ha creato quella parte di condizioni minime affinché il virus venisse contenuto e diventasse meno pericoloso rispetto a quel 2020 in cui le nostre difese ultime per non finire in terapia intensiva erano le mascherine, la distanza e il sacrificio di tanta parte delle libertà giornaliere cui eravamo abituati.
Oggi non ci togliamo soltanto le mascherine all’aperto, ma con questo gesto diciamo che forse possiamo tornare a considerare normale ciò che prima non lo era. Le conquiste civili e sociali hanno lo stesso sapore: non sono mai una novità ma, come scriveva Marx, sono la realizzazione dei pensieri, quindi dei bisogni e dei desideri, del passato.
MARCO SFERINI
11 febbraio 2022
foto tratta da Pixabay