Logica statica, logica del movimento e dialettica materialistica

Secondo gli studi di Rudolf von Laban, danzatore, coreografo e “teorico” della danza ungherese, il movimento è, per dirla in termini razionali, l’espressione di una diretta correlazione, di un...

Secondo gli studi di Rudolf von Laban, danzatore, coreografo e “teorico” della danza ungherese, il movimento è, per dirla in termini razionali, l’espressione di una diretta correlazione, di un rapporto di causa ed effetto quindi, tra la volontà del soggetto (altrimenti detta “tensione interna“) e la manifestazione del gesto, dell’attitudine che si esprime così nella realtà concreta, materiale.

Il rapporto che si stabilisce tra la materia autocosciente (quindi gli esseri viventi senzienti e, in particolare, gli umani che hanno – per così dire – con un certo margine di approssimazione derivante dal nostro proprio campo esperienziale, la maggiore capacità di critica dialettica con ciò che esiste e che li circonda) e il resto dell’Universo può essere descritto a partire proprio dal movimento.

Che è volontà intrinseca ed estrinseca per quanto concerne l’essere umano; che è istintività per quanto concerne l’essere animale non umano; che è inconoscibile processo di aggregazione atomistica per tutto il resto. Quando un ballerino si esprime in una danza, si muove nel contesto di una scenografia, in uno spazio ben definito. Potremmo quindi asserire che siamo in grado di prevedere tutte le mosse che farà, perché la delimitazione di quel contesto è per noi oggettiva e, se vogliamo, rientra nel nostro campo visivo.

In verità, per quanto possiamo presumere di far aderire la nostra conoscenza potenziale dei movimenti, anche derivata dalla ripetizione dello spettacolo volta dopo volta, non saremo mai in grado di azzeccare con assoluta precisione per due volte di seguito o meno in cui chi si esibisce spiccherà la piroetta, salterà e atterrerà nuovamente, dopo una breve e affascinante evoluzione, sul duro legno del proscenio.

Il movimento è, a dir poco, imprevedibile: perché nulla è uguale a sé stesso nel momento, nella mutazione, nel cambiamento costante o repentino della forma ed anche della sostanza della materia. In questa specie di fenomenologia del divenire, dove gli eventi si riconoscono nella ripetitività degli stessi secondo leggi proprie che ci sono – per la maggior parte – ancora oscure,  riconosciamo che la caratteristica principale dell’esistenza dell’Universo è il continuo cambiamento.

La logica del movimento quindi è un supporto della dialettica e, per quanto possa sembrare paradossale, ha comunque bisogno della logica formale per accrescere quelle potenzialità conoscitive che, altrimenti, le sarebbero di gran lunga limitate senza uno stimolo uguale e contraddittorio nel merito delle questioni che pone e che tenta di risolvere. Cosa ci dice la logica formale? Che vale l’identità, che ha valore la contraddizione e che oltre a ciò si può escludere qualunque terzietà.

Se A è uguale ad A, significa che una determinata cosa è e rimane sempre uguale a sé stessa. Prendiamo ad esempio un libro che abbiamo sul nostro tavolo. Libro è e libro rimane. Ma se io inizio a strapparlo, ecco che il libro perde la caratteristica dell’essere tale che gli è conferita dall’unità della copertina con tutte le pagine. Il volume diviene ben presto altro da sé stesso: le pagine, sparse in terra o fatte a pezzetti, rappresentano in quel momento il prodotto di un cambiamento.

Ma fino a che nulla interviene esternamente nei confronti dell'”oggetto-soggetto” libro, allora possiamo affermare che la logica formale ha un suo significato e una sua coerenza afferente alla realtà. La dialettica, quindi, è quella logica del movimento che supera la “logica-statica” della formalità appena citata e ci spiega che qualunque cosa venga intesa come imperitura, si tratti tanto della provvisorietà ontologica del libro quanto della nostra esistenza continuamente tramutante (a partire dal ricambio cellulare della pelle…), è in realtà l’opposto.

Gli scienziati ce lo ripetono in ogni documentario sulla natura, sulle stelle, sulle galassie: il divenire più che fare parte dell’Universo è l’essenza stessa di esso. Nulla è immobile, nulla è imperturbabile e tutto nello scomporsi e nel ricomporsi degli atomi, delle molecole e degli organismi pluricellulari (dagli aminoacidi fino alle prime forme di vita), dà seguito ad un processo praticamente infinito nello spazio e nel tempo di cambiamento incessante e sempre nuovo, pur se molte trasmutazioni possono somigliarsi.

Sempre la logica formale ci dice che se A è invece differente da non-A, A non può mai essere uguale a non-A. Quindi se acqua e limone rimangono separati in due contenitori diversi, l’una rimarrà acqua e l’altro rimarrà limone. Ma se io prendo le brocche e ne mescolo il contenuto versandolo in una terza brocca, ecco che avrò fatto dell’acqua al limone o del limone all’acqua se preferite… Dunque, la legge della contraddizione della logica formale sarà stata superata, anche in questo caso, da un procedimento di cambiamento.

La dialettica si impone nuovamente come ed elude quella tentazione dell’astrazione dal movimento che i sostenitori della ferreità della logica formale vorrebbero magari dogmatizzare. Terza legge di questa logica statica: o A o non-A. Nulla può essere né A e né non-A. Facciamo qui l’esempio della farfalla: finché è una crisalide non possiamo chiamarla farfalla. Ma nel momento in cui è divenuta tale non la possiamo più chiamare crisalide. Eppure lo è stata.

Pure in questo frangente, la logica formale entra in contraddizione non tanto con la propria rigidità immobilistica, ma semmai con l’oggettività della realtà che, per essere tale, non può che essere un continuo mutamento. Spesso ci illudiamo che il momento in cui viviamo abbia il retrogusto piacevole dell’eternità se è particolarmente piacevole; mentre vorremmo che sparisse prima di subito se è fonte di dolore o disagio.

La relatività delle nostre percezioni è affidata ad un rapporto che, pure questo,  di interazione con il divenire di tutto quello che ci circonda e ci include. Quando Marx ed Engels studiano la dialettica materialistica e fanno della Storia quel susseguirsi di una tale complessità di eventi che non permette di segnare mai un punto finale nella cosiddetta “evoluzione” umana, in sintesi si producono nella ricerca continua delle leggi dello sviluppo della Natura e di tutti gli esseri viventi.

Ovvio a questo punto far entrare in scena il rapporto di causa ed effetto che, da millenni, è oggetto di discussione piuttosto accademica e, solo negli ultimi secoli, anche profondamente scientifica, e che ci riporta al piano dialettico per eccellenza: il movimento. In quanto tale, la dialettica è teorizzazione di una serie di mutamenti che avvengono nel momento in cui nella specificità di un dato elemento, sia esso una cosa inanimata o una entità biologicamente viva e, nel nostro caso, autocosciente, si inseriscono delle “contraddizioni” che ne determinano il cangiamento.

Qui il termine deve essere inteso non come ostilità interna, come lotta quasi ancestralmente presente nell’essenza della cosa o dell’essere vivente. La causa della nascita delle contraddizioni può essere, ed in fatti nella maggior parte dei casi è, estrinseca.

Nell’avvicendarsi dei processi dialettici può avvenire inoltre che una eterogenesi dei fini si impadronisca di quella che noi definiamo “casualità” (della causalità) e ne governi i successivi cambiamenti determinando nuove leggi universali che, tuttavia, sono – in quanto tali – presenti in un ordine universale non completamente spiegabile.

Se analizziamo i fenomeni in mutamento, quindi nel loro divenire altro da sé stessi pur conservando delle primarie ed originarie caratteristiche di ciò che sono stati, riscontriamo che, proprio per logica del movimento e, quindi, “della contraddizione“, il fine ultimo cui si tende in questo cammino conoscitivo è la disarticolazione e la comprensione di quelli che Ernest Mandel chiama “gli elementi costitutivi” di tutto questo.

Se noi potessimo sapere perché la materia si comporta in un determinato modo, allora potremmo anche fugare tutta una serie di dubbi amletici sulle dinamiche dei mutamenti, sulle trasformazioni cui assistiamo da millenni e che, ad esempio, sono evidenziati benissimo nei cicli stagionali. Fin qui il piano meramente affidato alla naturalità dell’esistente, di ciò che ci circonda e ci comprende.

Se portiamo tutta questa speculazione dialettica su un altro piano, quello dei rapporti di classe, ne concluderemo, per aprirci nuovi ambiti di indagine, che la lotta fra proletariato e borghesia, risultante dei processi produttivi approdati al moderno sistema capitalistico, è il frutto di un mutamento continuo delle tensioni che si sono espresse in seno alla società ed hanno quindi determinato il livello di sviluppo (o inviluppo, a seconda dei punti di vista) attuale.

Esiste una migliore rappresentazione della dialettica come fenomeno concretamente contraddittorio, che non si smentisce mai in quanto incessante mutamento dell’esistente, se non la lotta fra le classi sociali lungo la linea temporale plurimillenaria di cui siamo, al momento, l’ultimo approdo? Cosa altro è la “contraddizione” nel movimento se non la nascita di altri elementi contraddittori? Nonostante ciò, anche gli elementi più discordanti e fra loro in lotta, è possibile una coesistenza degli opposti.

Indubbiamente uno a discapito dell’altro, dati determinati rapporti di forza. Borghesia da un lato e proletariato dall’altro ne sono la manifestazione esemplare, la prova del nove. Se però pensiamo all’esistente come ad una sorta di unità che trascende dalla singolarità in cui si esprime la materia nei miliardi e miliardi di tipologie in cui si scinde e si ricongiunge, dando vita a forme e sostanze del tutto diverse fra loro, dovremmo concludere che deve per forza esistere una omogeneità che va oltre le contraddizioni.

Questo significa oltrepassare la dialettica e, magari, negarla? Per quanto unitario possa essere l’esistente, il suo essere è molteplice e si tiene insieme proprio attraverso leggi che sono a noi conoscibili fino ad un determinato punto di indagine moderna. Sappiamo ciò che la nostra (auto)coscienza ci consente di sapere: che ogni cosa attua un mutamento qualitativo e quantitativo nell’attimo in cui una contraddizione la permea e la investe.

Nel caso di noi animali umani si può trattare di un fatto endogeno, come una malattia o, molto più banalmente, il processo di invecchiamento del nostro fisico; oppure può essere un qualcosa di esogeno che, appunto, dall’esterno interviene nelle nostre esistenze o in quelle di cose inanimate e le tramuta in altro. Gli opposti, così, ci sono utili per capire determinate tendenze dell’Universo a dare vita ad A e a non-: acqua e fuoco. Nella nostra categorizzazione umana, l’uno il contrario dell’altro, come i disposti etici di bene e male, di virtuoso e dissoluto.

La coesistenza è naturale, così come lo sono le contraddizioni che fanno parte dell’esistenza e dell’esistente. Del resto, potremmo dibattere a lungo se è la morte che comprende in sé la vita o se è quest’ultima che introita in sé quella fine che magari è anche un principio. La necessità tutta umana di comprendere sé stessi per darsi un posto sensato in questa irrisolvibilità che noi stessi ci siamo e siamo a prescindere da noi, rimane una particolarità della dialettica che abbiamo sviluppato e che va ben oltre il ristretto campo delle nostre vite.

Come mezzo teoretico di conoscenza, i limiti della dialettica sono quasi oggettivi, seppure parzialmente variabili e indotti ad essere piegati ad un regime di soggettivismo interpretativo. Nel discutere di tutto ciò si rischia uno scivolamento nell’astrazione, nell’astrattismo e non meramente figurativo ed artistico. Ma se tocca imparare qualcosa dall’apprezzamento della dialettica materialistica piuttosto che da quello della logica formale e statica, è che dovremmo smetterla di pensare alla fissità, a ciò che non muta.

Tutto è in continuo cambiamento. Anche il computer che abbiamo sotto mano e la nostra mano medesima. Calati nella enormità temporale in cui si traduce l’Universo inconoscibile fino a quel fondo che forse non ha, dilatati proprio materialmente nello spazio-tempo, il computer e la mano tra qualche tempo non esisteranno più. L’uno si sarà guastato e sarà stato rottamato. L’altra sarà qualche brandello di cenere finito in un’urna o sparsa per l’aria di un fresco bosco di riviera.

La conoscenza, quindi, è intrinseca all’esistenza e riguarda gli interessi di tutti gli esseri viventi. Differente è il tipo di coscienza, del rapporto tra osservazione e percezione, intuizione e sviluppo delle proprie capacità di miglioramento della vita singola e collettiva. Noi sappiamo oggi, grazie a molti studi, che siamo dei primati evoluti ma che anche altri esseri viventi hanno le nostre sensazioni di gioia e di dolore, di empatia e di antipatia.

Sarebbe bastato guardare gli animali non umani negli occhi e lasciarli vivere liberamente per renderci conto di tutto questo. Abbiamo invece avuto bisogno dell’indagine scientifica per rendere evidente ciò che era lapalissiano. Dobbiamo ancora oggi far ricorso alla dialettica materialistica per sapere che il cambiamento è nella natura delle cose e che, quindi, nonostante il capitalismo pretenda di essere il migliore dei mondi possibili, è soggetto al mutamento come ogni altra cosa nell’Universo.

Come e più dell’Universo stesso, perché qui si tratta dall’infinitamente piccolo nell’infinitamente incommensurabile. Quello che a noi pare un gigante invincibile è un effetto del mutamento della storia dei rapporti di classe. C’era, c’è e un giorno, se svilupperemo dialetticamente il cambiamento in una precisa direzione libertaria, non ci sarà più. Nulla è per sempre. Ma nel momento in cui è, ogni cosa avrebbe diritto al suo posto, al suo spazio, alla sua particolare capacità di essere soggetto e oggetto della trasformazione universale.

MARCO SFERINI

18 agosto 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

categorie
Il portico delle idee

altri articoli