«Condivido l’appello del manifesto perché credo che, in un momento in cui la guerra torna ad essere strumento di regolazione dei rapporti tra stati, sia necessario mettere i valori della Liberazione al centro della mobilitazione di tutto il paese. La Cgil sarà presente in tutte le piazze, a partire da Milano. Per ribadire che le fondamenta del nostro stato sono in quella giornata e che per la riconquista della democrazia e la sconfitta del nazifascismo lavoratrici e lavoratori hanno avuto un ruolo fondamentale»

Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, nella cronaca di trent’anni fa, quando il nostro giornale pubblicò l’appello di Pintor e a Milano ci fu un corteo memorabile, c’erano molte similitudini con l’attualità ma è intanto è cambiata la società.

La situazione non è paragonabile al 1994, deve fare i conti con gli effetti della globalizzazione che ha aumentato le diseguaglianze e svalorizzato il lavoro. In tutto il mondo, non solo in Italia, si rischia un arretramento verso forme autoritarie di governo, alimentate da un modello economico fondato sullo sfruttamento delle persone.
Per questo noi crediamo che la lotta per i diritti, la libertà nel lavoro e la messa in discussione di questo modello di fare impresa, siano oggi il punto da cui partire per affermare una democrazia che sia davvero compiuta e antifascista e che quindi metta davvero al centro i diritti garantiti dalla nostra Costituzione. E sono convinto sia anche arrivato il momento di scendere in piazza per pretendere una vera giustizia sociale, perché le scelte di questo governo non rappresentano i bisogni e il pensiero della maggioranza del nostro Paese.

Chi fa parte della maggioranza, per tradizione politica, non ama la Liberazione. Lo hanno ribadito anche attraverso la Rai.

Penso che censurare un messaggio su fascismo e postfascismo a pochi giorni dal 25 aprile sia di una gravità assoluta. La Rai è pagata da tutti i cittadini per essere servizio pubblico e quindi indipendente e plurale. Esprimo solidarietà, condivisione e vicinanza ad Antonio Scurati. L’attacco personale e denigratorio nei suoi confronti da parte del presidente del Consiglio è una forma di violenza inaccettabile e pericolosa che chiarisce perché da quel pulpito la parola antifascismo non viene pronunciata. La risposta a una logica pericolosa come la censura deve essere agita dal mondo della cultura, cui va il nostro ringraziamento. La democrazia antifascista non è solo una speranza che hanno avuto i partigiani e le partigiane e le persone che hanno sconfitto il regime, ma un impegno permanente.

Il governo non sembra gradire il dissenso e non solo sui media. In questi mesi diverse manifestazioni sono state represse con i manganelli.

La messa in discussione del diritto di manifestare è uno dei segnali del tentativo di comprimere le libertà del nostro paese: dall’attacco al diritto di sciopero con le precettazioni, fino alla messa in discussione dell’autonomia della magistratura e l’occupazione dei mezzi di informazione. Siamo di fronte a un governo che non ricerca la mediazione e non riconosce alcun ruolo alla rappresentanza sociale, perché vuole comandare ed esprime profondo fastidio nei confronti di chi contesta.

La presidente del Consiglio non riesce a dichiararsi antifascista, neanche il presidente del senato.

Dietro questa difficoltà della destra di dichiararsi tale ci sono pericolose idee autoritarie e fatti concreti. Basti pensare alla legge delega sul fisco, sui contratti e le retribuzioni, ai condoni fiscali, al taglio della rivalutazione delle pensioni, ai tagli sulle misure di contrasto alla povertà. Il governo sta decidendo su materie che riguardano la vita di milioni di persone senza confrontarsi con le organizzazioni sindacali e svuotando il ruolo del parlamento.

Tra questi temi c’è anche il diritto all’aborto. La premier aveva garantito che non l’avrebbe toccato e invece sta tentando di mettere i pro-vita nei consultori.

Il Pnrr doveva migliorare la condizione dei giovani e delle donne aumentando l’occupazione, i servizi pubblici a sostegno della genitorialità, gli asili nido, i consultori. Nulla di tutto questo è stato fatto e anzi è stata inserita questa norma che altro non è che l’ennesimo attacco alla libera scelta delle donne, al loro diritto all’autodeterminazione e a decidere sul proprio corpo. Un ulteriore tassello della logica di controllo della destra che dobbiamo contrastare. Oggi la Cgil con la Uil sarà in presidio sotto al senato.

Secondo molti indicatori la povertà sta aumentando mentre l’offerta di welfare diminuisce. E la questione non riguarda solo i disoccupati ma anche chi lavora.

Le politiche fatte negli ultimi 25 anni hanno favorito una precarizzazione del lavoro e della vita che non ha precedenti, al punto che si è poveri lavorando. È necessario oggi utilizzare tutti gli strumenti che democraticamente la Costituzione ci mette a disposizione, compresi i referendum abrogativi, per cancellare quelle leggi che hanno determinato un modello di fare impresa fondato sulla riduzione dei diritti, sullo sfruttamento delle persone, sulla esternalizzazione delle attività, sulla precarietà e quindi su bassi salari.
Con il rinnovo dei contratti nazionali di lavoro rivendichiamo l’aumento degli stipendi, la riduzione degli orari lavoro e il contrasto alla precarietà. Insieme alla Uil chiediamo una legge sulla rappresentanza. Il 25 aprile saremo in tutte le piazze d’Italia per una campagna di raccolta di firme per indire quattro referendum, con l’obiettivo di superare il Jobs Act, di innalzare per tutti le tutele contro i licenziamenti illegittimi, di cancellare l’uso indiscriminato dei contratti a termine e per rendere più sicuro il lavoro nel sistema degli appalti.

La precarietà influisce sulla sicurezza.

È certificato anche dai dati Inail che la maggioranza dei morti e degli infortuni sul lavoro riguardano lavoratori precari e coinvolgono imprese che operano in appalti, subappalti e finte cooperative. Rivendichiamo politiche industriali, un altro modello di fare impresa, che il lavoro diventi il bene comune per il Paese.

La Costituzione, oltre a non essere attuata rischia anche di essere stravolta dalle riforme sul premierato e sull’autonomia.

Per quello che ci riguarda il contrasto a queste riforme è radicale. Il 25 maggio saremo a Napoli con tutto il mondo associativo con cui abbiamo dato vita a La via maestra proprio per affermare un’idea del Paese fondata sull’attuazione della nostra Costituzione, a partire dal diritto a un lavoro dignitoso, alla salute e all’istruzione. Anche su questo terreno è necessaria una mobilitazione che coinvolga tutti.

Intanto intorno a noi ci sono due guerre che rischiano di portarci a un conflitto su larga scala.

Per questa ragione è necessario che il corteo del 25 aprile assuma anche l’obiettivo di cessare il fuoco. È bene ricordare che non è un caso che quanti hanno fatto la guerra di Liberazione abbiano scritto nella Costituzione che «l’Italia ripudia la guerra». Chi ha vissuto la dittatura e la guerra, nella quale il fascismo ha trascinato l’Italia, si è battuto per riconquistare e costruire una democrazia che potesse gestire i conflitti senza arrivare all’uso delle armi.

LUCIANA CIMINO

da il manifesto.it

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